domenica 27 luglio 2008

TEMPO ORDINARIO: 17a DOMENICA


Tratto dal sito www.omelie.org "La liturgia del giorno" a cura del Centro Editoriale Dehoniano a cura di Alvise Bellinato


Letture: 1Re 3,5.7-12 ; Rm 8,28-30 ; Mt 13,44-52.


CHIEDERE A DIO LE COSE GIUSTE
Dio ci ascolta?
Certe volte facciamo delle preghiere e non veniamo esauditi.La gente va dal prete arrabbiata: “Perché Dio non mi ascolta?”.
Gesù, nel Vangelo, ci dice che è necessario chiedere le cose con insistenza: non basta fare una preghierina una volta ogni tanto. È necessario essere tosti, insistenti. Per farci capire bene questo concetto fondamentale della vita di fede, egli ci ha raccontato una parabola un po’ strana: quella della vedova testarda, che importunava quotidianamente il giudice per ottenere giustizia e che alla fine venne esaudita per la sua fede e per il fatto che disturbava continuamente con le sue richieste.
Sappiamo che, oltre al rischio di chiedere male (cioè senza il giusto atteggiamento interiore di fede e perseveranza), c’è anche il rischio di chiedere cose proprio sbagliate. Magari le chiediamo in buona fede, ma sono sbagliate. La Bibbia contiene storie di persone che chiesero a Dio le cose più assurde: cose che non erano bene per loro. Per fortuna Dio non le concesse: sarebbero state la loro rovina! Gesù stesso, a chi gli chiedeva di “sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel suo Regno” rispose stupefatto: “Voi non sapete quello che chiedete!”.
Come fa Dio ad ascoltare una preghiera sbagliata, una richiesta che, una volta esaudita, ci farebbe del male?Spesso noi cristiani non ci rendiamo conto che “preghiamo male”. Rischiamo addirittura di prendercela con Dio, se non ci ascolta, mentre dovremmo domandarci onestamente: “Ciò che chiedo è buono veramente per me e per gli altri? Credo davvero alla potenza di Dio? Lo sto chiedendo con costanza e sacrificio?”.
La prima lettura odierna ci offre, come primo spunto, una chiave significativa per riflettere sul tema della preghiera giusta: sul cosa chiedere e sul come chiedere. È sorprendente ciò che Dio dice al giovane Salomone: “Caro, Salomone, poiché tu non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né ai domandato la vita dei tuoi nemici… ti concedo ciò che hai chiesto”.In effetti la gente, di norma cosa cerca? Cerca tre cose: la vita (“lunghi giorni”), il benessere (“ricchezza”), la soluzione di problemi nelle relazioni (“la vita dei tuoi nemici”). Se ci fate caso, sono sempre queste tre cose l’oggetto delle nostre preghiere. È ovvio: sono le tre cose più importanti, direte voi.Troviamo conferma di ciò, guardandoci intorno quotidianamente. Chissà quante volte abbiamo visto in giro (sui giornali, alla televisione) le pubblicità di qualche mago o cartomante… Cosa promettono tutte queste persone? Sempre le stesse tre cose: vita (salute, benessere), ricchezza (affari, lavoro), buone relazioni (amori, soluzione di problemi familiari, ecc.).
Tornando a Salomone, e tenendo conto di quanto abbiamo detto, la risposta che Dio gli diede, possiamo allora immaginarla in vena un po’ umoristica: “Caro Salomone, poiché tu non mi hai domandato, come fanno praticamene tutti…”.
Ma allora, cosa dobbiamo chiedere?S. Paolo ci dice che noi “non sappiamo cosa sia bene domandare”. Quante volte abbiamo sentito, nella vita dei Santi, che una malattia è stata l’inizio di una vita nuova? Quante volte un insuccesso ha provocato una messa in discussione di se stessi e l’inizio di una conversione? Quanto spesso è accaduto che, grazie a una difficoltà di relazione, le persone hanno scoperto la Relazione (con la R maiuscola)? Il Signore ci dice oggi, nella seconda lettura, che “tutto concorre al bene, per coloro che amano Dio”. Dipende molto dal nostro atteggiamento interiore. Se “amiamo Dio”, tutto diventa più facile: è necessaria una grande fiducia.
Di per sé, quando chiediamo vita, benessere, pace, chiediamo cose giuste (almeno dal nostro punto di vista). Ma dobbiamo sempre mantenere la fiducia che Dio vede più lontano di noi e credere che Lui conosce meglio di noi ciò che concorre al bene nostro, in questo momento.
Se domandiamo a Dio la ricchezza, siamo certi che questo concorra al nostro vero bene? Se gli domandiamo la morte dei nostri nemici, questo concorre al nostro bene?
La prima lettura sembra dirci che se gli domandiamo la sapienza, certamente facciamo bene. Gesù ci dice che se domandiamo lo Spirito Santo, perché ci aiuti a vivere come figli di Dio, facciamo benissimo (e ci ha dato la sua parola che ce lo concederà!). Nel Vangelo c’è scritto che se chiediamo a Dio una mano perché ci aiuti a perdonare chi ci ha fatto del male, non solo facciamo benissimo, ma egli ci aiuterà in modo speciale e, in più, ci darà come bonus il perdono dei nostri peccati… Vedete? Ecco alcuni esempi di preghiere giuste, sempre e in tutte le situazioni, senza eccezioni.In pratica, le preghiere migliori sono quelle che, in inglese, chiameremmo “fifty-fifty”, cioè al 50%: si chiede a Dio il 50% e si promette che noi ci impegneremo per l’altro 50% a fare la parte nostra perché ciò che chiediamo ci sia dato.“Prega come se tutto dipendesse da Dio. Agisci come se tutto dipendesse da te”.
Ed è esattamente ciò che fa Salomone: in lui c’è il desiderio di essere giusto nel governare, c’è la disposizione positiva a fare il bene, c’è l’onestà giovanile di un re che vuole amministrare bene il suo popolo. A lui Dio promette: “Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te”.
L’aspetto curioso su cui meditare, poi, è il seguente: Dio gli concesse anche, come bonus, tutto il resto (lunghi giorni, una ricchezza proverbiale, la sconfitta dei suoi nemici e relazioni pacifiche). Ma ciò che conta è che lui aveva capito cosa era giusto chiedere. Aveva capito anche l’atteggiamento giusto nel chiedere.
“Signore, ti chiediamo di aiutarci a chiedere. Ti chiediamo di chiedere bene, e chiedere cose giuste. Non esaudirci, se vedi che ciò che ti chiediamo potrebbe non essere un bene per noi, ora.Non esaudirci, se ciò che ti chiediamo è una scorciatoia per non fare la nostra fatica.Noi abbiamo fiducia in te: tu conosci le cose di cui abbiamo bisogno.Noi ti amiamo e ci fidiamo di te”.

La classifica giusta
Salomone aveva intuito, con la grazia di Dio, quale fosse il suo vero bene. Per esso è disposto a sacrificare le altre cose, a trascurare altre richieste. Dio lo benedice, facendogli vedere questo vero bene, e lui si impegna al massimo per raggiungerlo.Lo stesso messaggio lo troviamo espresso nelle brevi parabole, contenute nel Vangelo odierno.Un contadino ottiene la grazia di trovare un tesoro nel campo. Capisce subito che per quel tesoro è necessario sacrificare tutto il resto e non esita a “vendere tutti i suoi averi” per possedere quel tesoro.Lo stesso accade al mercante, che riceve la grazia di trovare una perla di grande valore. Anche lui “vende tutti i suoi averi” per entrare in possesso di quella perla.Queste persone fanno tutte una selezione, come anche i pescatori, che selezionano i pesci nelle reti.
Salomone, il contadino, il mercante, i pescatori, hanno una cosa in comune: sanno organizzare la classifica giusta, sanno mettere le cose nel giusto ordine, sanno dare il giusto valore alle cose.
Una volta fatto questo, tutto il resto viene come conseguenza, sembra dirci la Parola di Dio.Salomone ha avuto anche il resto, il contadino si è certamente goduto il tesoro, il mercante ha avuto la perla preziosa, i pescatori si sono goduti i pesci buoni.S. Agostino diceva: “Scegli cosa amare e il resto verrà”.
Anche per noi deve esere così: dobbiamo mettere al primo posto le cose che contano: “Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia. Tutto il resto [vita, sostentamento, pace] vi sarà dato in sovrappiù”.
Ci crediamo?



SUSSIDIO PER I BAMBINI a cura di Daniela De Simeis
In televisione danno spesso dei film a puntate: il Vangelo di questa domenica è la “3a puntata” del discorso che Gesù fa da una barca, vicino alla riva del lago. Due domeniche fa abbiamo letto che sale sulla barca perché c’è tanta gente e solo in questo modo tutti riescono ad ascoltarlo. Gesù fa un lungo discorso, tutto di parabole e la prima che abbiamo ascoltato era quella del seminatore. Domenica scorsa la Liturgia ci ha proposto le parabole della zizzania, del lievito e del granellino di senape. Oggi, invece, abbiamo ascoltato addirittura quattro parabole: brevi, ma molto belle!Per comprenderle fino in fondo, ci serve ricordare alcune cose che abbiamo già detto nelle domeniche passate. Innanzi tutto, visto che le prime due parabole di oggi parlano del Regno di Dio, proviamo a ricordare: che cos’è mai questo Regno?Abbiamo detto che non è un regno di potenza, di paura, di distruzione, ma è il Regno dell’amore e della gioia. Gesù racconta due parabole, quella del tesoro nascosto e quella della perla preziosa, per spiegare quant’è bello il Regno di Dio e per far capire che non c’è niente di più importante.Dice il Maestro di Nazareth: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.” E poi aggiunge ancora: “Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.”Quando si trova qualcosa di molto prezioso, qualcosa che vale immensamente, tutto il resto diventa secondario, non ha importanza, non conta.Ebbene: quando si riesce a capire davvero la bellezza del Regno dell’Amore, quando uno scopre quale dono infinito sia vivere nell’amore, allora tutte le altre cose diventano molto meno importanti! La ricchezza, essere famosi, essere ammirati, sono cose belle e piacevoli, ma uno se ne dimentica completamente quando le paragona al Regno di Dio, alla vita nell’amore vero, alla gioia perfetta!E noi? Abbiamo già scoperto che meraviglia è vivere nell’amore di Dio? Forse qualche volta ci scoraggiamo… ci sembra che voler bene e perdonare siano cose troppo difficili e impegnative, chissà… Eppure l’amore vero è più prezioso di ogni diamante, di ogni perla, di ogni tesoro! E se siamo immersi in questo amore, non c’è nessuno più ricco è felice di noi!
Domenica scorsa dicevamo che per tante persone è difficile capire come mai nel mondo c’è il male, la cattiveria, la crudeltà, dal momento che il Regno di Dio è già presente. Gesù, a questo riguardo, ha già raccontato la parabola della zizzania e del grano, ma siccome sa che certe cose facciamo tanta fatica a comprenderle, racconta ancora un’altra parabola: quella delle rete e dei pesci. Quando si pesca con la rete, nelle maglie restano impigliati pesci grossi e pesci piccolini, molluschi, alghe… a volte, purtroppo, persino la spazzatura che gli stupidi gettano nel mare.Quando i pescatori tirano le reti, le poggiano nella barca così come sono, piene un po’ di tutto. Però poi fanno una scelta: solo il buon pesce va a finire nei canestri, mentre tutto il resto viene buttato via. Così sarà, dice il Signore Gesù, alla fine del mondo: non tutto entrerà a far parte dei cieli nuovi e della terra nuova che Dio Padre ha preparato! La morte, la sofferenza, le lacrime, il pianto, non entreranno nella festa senza fine e tutto ciò che è male, verrà distrutto per sempre.
Infine, nel Vangelo di oggi, c’è ancora un’ultima parabola che ci riguarda proprio da vicino: “ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.”Chi è lo scriba? È uno che ha studiato la Parola di Dio e la conosce bene.Il Maestro e Signore ci dice che, chiunque conosce a fondo quello che c’è nella Sacra Scrittura e si lascia guidare dalla Parola del Vangelo, è come un padrone di casa che custodisce nei suoi scrigni, nella sua cassaforte, tanti tesori, alcuni antichi, altri più nuovi, e secondo le occasioni prende l’uno o l’altro.Questa immagine mi fa venire in mente il matrimonio di Rosaria, una ragazza della mia parrocchia. La sua è una famiglia piuttosto ricca e per il giorno delle nozze Rosaria ha indossato alcuni gioielli antichi che appartenevano ai suoi antenati: gli orecchini erano della sua bisnonna e al collo portava un ciondolo prezioso, un cammeo, che era addirittura del 1700! Naturalmente insieme a questi tesori molto antichi, che i genitori di Rosaria avevano custodito nel tempo, c’era anche un gioiello nuovissimo: la fede nuziale che Silvano, il suo sposo, le ha messo al dito!Per Rosaria è stato proprio come nella parabola: aveva indosso gioielli antichi e gioielli nuovi!Dicevo, poco fa che questa parabola ci riguarda da vicino perché, secondo me, tutti noi possiamo essere come lo scriba indicato da Gesù. Ogni domenica, ascoltando la Parola di Dio, ci viene messo tra le mani un tesoro molto antico: pensate a quanti secoli hanno le parole che ascoltiamo nelle quattro letture durante la Messa! Sono tesori preziosi e molto, molto antichi!Ogni volta che accogliamo nel nostro cuore la Parola di Dio, essa diventa viva, torna ad essere nuova nella nostra vita.Ogni volta che la comprendiamo, che la gustiamo, che la ricordiamo, quella Parola, quel tesoro antico, torna ad essere nuovo nella nostra vita.Ogni volta che proviamo a mettere in pratica quella Parola, vivendo secondo il cuore di Dio, quel tesoro antico torna ad essere nuovo nella nostra vita.Perciò, venire a Messa e ascolta la Parola di Dio, è insieme un regalo e un impegno.È un grande dono che Dio ci fa quello di poter crescere con il suo insegnamento sempre vicino. È un grande dono sapere dalla sua stessa Parola quello che il Padre Buono si attende da noi, quello che desidera. È un’opportunità senza paragoni ricevere le indicazioni che ci dà settimana dopo settimana!Ma quella Parola che ogni domenica la Chiesa ci consegna attraverso le letture della Messa, diventa anche un impegno serio per ciascuno di noi, ad ogni età. Infatti il Padre affida alle nostre mani il tesoro antico e preziosissimo della Scrittura Sacra, perché diventi vivo e nuovo in noi, nella nostra vita!Non possiamo sciupare questo dono, ascoltando distratti o magari dimenticandocene subito dopo aver ascoltato!Saremmo veramente degli sciocchi a non accogliere con gioia, con rispetto, con amore, questo regalo prezioso che ci viene direttamente dal cuore di Dio! E allora ogni domenica, anche durante l’estate, anche durante le vacanze, non dimentichiamo il nostro appuntamento con la Parola di Dio! Dovunque siamo, al mare, in montagna, in città, al lago, in campagna, in Italia, all’estero… non importa! Non trascuriamo l’appuntamento con la Parola di Dio, per ricevere il dono antico e prezioso che il Padre ci offre. Per portare poi quella Parola nella nostra vita di tutti i giorni e renderla sempre viva e nuova!

sabato 26 luglio 2008

Messaggio della Regina della Pace


25 luglio 2008:


"Cari figli, in questo tempo in cui pensate al riposo del corpo, io vi invito alla conversione. Pregate e lavorate in modo che il vostro cuore aneli al Dio creatore che è il vero riposo della vostra anima e del vostro corpo. Che Egli vi riveli il suo volto e vi doni la sua pace. Io sono con voi e intercedo davanti a Dio per ciascuno di voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "

domenica 20 luglio 2008

TEMPO ORDINARIO: 16a DOMENICA

Tratto dal sito www.omelie.org "La liturgia del giorno" a cura del Centro Editoriale Dehoniano

Letture: Sap 12,13.16-19; Rm 8,26-27 ; Mt 13,24-43


PRIMO COMMENTO ALLE LETTURA a cura di Gigi Avati:


Da piccolo, non avendo nonni a portata di mano (quelli paterni erano già morti, quelli materni erano lontani e la nonna era pure inferma…) ed essendo mio papà lontano da casa per via della guerra, le storie me le raccontava mia mamma.Non mi ricordo se le capivo o meno, ma percepivo vagamente che attraverso quei racconti veri o di fantasia, avrei dovuto apprendere l’arte di vivere. Arte che faticavo a mettere in connessione con quanto suggeriva la storia , come ad esempio nel caso della storia di santa Genoveffa che veniva nutrita con un tozzo di pane secco portatole da un corvo nero… Oppure come nel caso della storia di Cappuccetto Rosso che faticavo a credere femmina per via del copricapo declinato al maschile, del bosco che non capivo cosa fosse non essendoci ancora i cartoni animati a farmelo immaginare, della nonna che non riuscivo ad immaginare non avendola a portata di mano… per non dire del lupo di cui al paese dove abitavo esisteva una strada dal nome spaventevole per noi bambini, “via cantalupo” appunto, da evitare assolutamente di andarci, sia in concreto che nella fantasia…Insomma, un bel pasticcio e una vera difficoltà imparare a vivere per via di storie e racconti… ma la faccenda divenne via via più facile (“tutto è difficile prima di essere facile” ammonisce un vecchio adagio) mano a mano che mi imbattevo nelle parabole del vangelo. E fu proprio grazie ad esse che, curiosamente e misteriosamente, iniziarono a piacermi e ad affascinarmi altre storie, metafore, allegorie, paradossi, enigmi… fino al punto da considerare la vita medesima una sorta di misteriosa ed immensa metafora. I simpatici paradossi di Gesù…
Andando dritti al vangelo di oggi, è quasi divertente notare con quale gusto Gesù nasconda nelle sue parabole il fascino del mistero… e lo nasconda soprattutto ai saputoni. Sembra quasi divertirsi a velare e a vestire con delicato pudore la sconvolgente e disarmante nudità della verità del Regno dei cieli. Sembra quasi provar gusto a voler ubriacare la mente con il forte spirito del paradosso.Paradosso che si nota subito nel divertente contrasto della descrizione del Regno dei cieli fatta con spunti e riferimenti strettamente legati alla terra…Forse, e senza forse, per insinuare l’idea della possibilità e convenienza di poter vivere sulla terra come se fosse già il cielo, di non aspettare cioè a vivere bene quando non ci saranno più problemi esistenziali… Idea anche psicologicamente corretta e spiritualmente senza alternativa…Come a dire che chi ha intuito essere il Regno dei cieli la realtà suprema cui riferirsi nel proprio pensare ed operare quotidiano deve poterne trarre le dovute conseguenze e cioè riconoscere che gli atteggiamenti di vita da Regno dei cieli trovano tranquillamente posto e collocazione già nel “qui ed ora” del vivere quotidiano sulla terra.Altrimenti, che senso avrebbe la perentoria affermazione di Gesù: “Il Regno dei cieli è in mezzo a voi”, e più ancora: “Cercate innanzitutto il Regno di Dio e il resto vi sarà dato in sovrappiù”?
Bando a collere, paure e tristezze…
Vivere da Regno dei cieli sulla terra comporta quindi di derivare dalla fede tutta una serie di atteggiamenti interiori virtuosi che ci contraddistinguono e che siano in grado di contenere e di rintuzzare gli inevitabili attacchi di collera e rabbia contro il male (compresa anche la zizzania che viene da dentro il nostro cuore), di paura per l’apparente non senso o piccolezza del nostro darci da fare (tutti i semi sono piccoli… compreso quello di senape), di mestizia o dolore per il non riconoscimento del nostro operare, per una approvazione che non arriva mai, per un applauso che ci farebbe aprire le piume del pavone e chiudere però con il Regno di Dio (Dio vede nel segreto e applaude alla fine … per il lavoro di lievito che ci ha concesso di fare).Vivere da Regno dei cieli sulla terra comporta quindi pazienza infinita nei rapporti interpersonali (e non intransigenza di giudizio, condanna astiosa del male altrui…) fiducia sorridente nel Dio che ci fatto con i nostri talenti e limiti e sa bene come mai (e non sospirosa lamentazione per l’altrui, e propria, pochezza), tenacia poderosa contro lo scoramento per un riconoscimento che non arriva o peggio per una derisione che arriva puntuale a umiliare la nostra inutilità…Vivere da Regno dei cieli equivale concretamente a vivere sulla terra come se fosse il paradiso, mettendo proprio tutto nelle mani di Dio, lasciandosi proprio andare a fare soltanto la sua volontà , che appunto perché santa faciliterebbe anche a noi, per contagio paradossale, la santificazioneLa quale santificazione sembra proprio passare per questa coordinate: non prendersela troppo contro il male (zizzania), non immusonirsi per la piccolezza o marginalità del proprio posto nel grande quadro del Regno di Dio (piccole seme di senape), né tantomeno farsi il sangue acido di risentimenti per l’invisibilità del proprio operare (lievito).


SECONDO COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Andrea Lonardo


«Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: “Spiegaci la parabola della zizzania”. Ed egli rispose...». Il testo evangelico continua a mostrare come le parabole non sono state raccontate da Gesù per venire incontro ai semplici, per essere più comprensibile utilizzando il linguaggio di tutti i giorni. Esse al contrario richiedono spiegazioni e gli stessi apostoli le debbono approfondire.
La parabola della zizzania, come già quella del seminatore, richiedono che si faccia un passo avanti per venire ad un contatto più diretto con Gesù. A lui bisogna chiedere del significato delle parabole. Ed è questa la via per diventare discepoli del Signore: stare vicino a lui e chiedergli. Tanti ascoltano e si allontanano, senza che le parabole siano diventate per loro l’occasione per stare con il Signore. Questo è il motivo per il quale Gesù parla in parabole. Egli è la presenza di Dio, è il regno ormai vicino, ma l’uomo deve rispondere con la sua libertà a questa venuta.
Per accostarci alla comprensione dell’intero linguaggio parabolico, prima ancora che al significato di una singola parabola, è possibile fare riferimento anche all’esperienza rabbinica antica ed all’esperienza quotidiana della vita. I rabbini dei primi secoli affermavano a ragione che non sarà mai un buon discepolo colui che non ha domande, colui che, avendo ascoltato il suo rabbi, il suo maestro, non ha desiderio di approfondire ciò che è stato detto, non ha domande da rivolgergli per capire meglio. E aggiungevano che non sarà mai un buon discepolo anche colui che vuole imparare, ma non ha al contempo il desiderio di insegnare ad altri ciò che ha appreso della via di Dio.
Anche la nostra vita è costellata di domande. Ci accorgiamo subito, però, che tante domande che ascoltiamo vengono fatte solo da chi vuole mettersi in mostra. Domandare è così un modo di apparire. In una classe scolastica i compagni sanno riconoscere l’alunno che interviene continuamente solo per farsi notare e, da buoni compagni, lo deridono. Esistono poi domande fatte solo per l’imbarazzo del silenzio che si crea. Ad esempio, in ascensore od in autobus si può chiedere come sta la persona che si è incontrata, che tempo farà, dove si trascorrerà l’estate; ma queste domande sono un ‘pour parler’, non nascono da un reale interesse per la questione che viene posta.
Ben diversa è la domanda che nasce dall’aver riconosciuto che si è alla presenza di un maestro e si intuisce che proprio quella persona potrà rispondere a ciò che ci sta veramente a cuore. È questo che avvertono i discepoli: essi domandano, perché hanno compreso che Gesù è l’unico che può rispondere. Quante volte anche nella nostra vita sentiamo l’importanza di un uomo di Dio che ci porta al cuore di un problema. E restiamo poi a meditare le parole che ci ha detto, per capirle ancora meglio.
Proprio il tempo benedetto delle vacanze estive può essere vissuto come un momento caratterizzato dal tornare a riflettere sul passaggio del Signore nella nostra vita durante l’anno trascorso e quello che incomincerà, sulle parole che ci ha rivolto in tanti modi; l’estate è un’occasione per far emergere la sua chiamata e, in una disponibilità maggiore di tempo, per tornare a chiedergli in una preghiera, in una passeggiata nel silenzio, in una lettura, in una confessione, in un incontro con un sacerdote: «Maestro spiegaci...». È questo che farà sì che le vacanze diventino veramente ricreazione, cioè nuova creazione, pausa per riprendere poi con maggior convinzione l’impegno della vita.
* La parabola della zizzania pone la grande domanda sull’origine del male e, conseguentemente, del giusto atteggiamento da assumere in sua presenza. «Mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò»: Gesù indica come il male non sia un evento naturale, da attribuire all’ordine delle cose così come Dio le ha create. È il suo nemico, invece, che ne è all’origine. C’è qualcuno che, dove Dio semina il bene, pone in essere il suo contrario. Torna qui in mente la straordinaria riflessione sul male dell’allora giovane professore Joseph Ratzinger che chiamava il maligno ‘la persona nella forma della non persona’. È il nemico ed è persona, proprio perché ce l’ha con la singola persona, perché attenta al bene che viene fatto da Dio e dai suoi figli, ma è ‘nella forma della non persona’ perché l’essenza dell’essere persona consiste nelle relazioni d’amore, mentre il maligno è colui che non vuole bene a nessuno, è colui che cerca tutti, ma senza amare alcuno di coloro che insegue.
L’inimicizia del male è detta non per spaventare l’uomo, ma anzi per incoraggiarlo. Il male è triste e non può produrre quei frutti desiderati che invece provengono dal buon seme. E la mietitura avrà certamente luogo, perché l’opera di Dio non può essere distrutta dal suo nemico. Tutta la fiducia e la speranza del cristiano non sono motivate dall’assenza del male, poiché anzi la fede è ben consapevole dell’esistenza dell’inimicizia e della sua origine. Piuttosto questo sguardo carico di attesa benevola verso il futuro deriva dalla certezza della presenza e dell’opera di Dio che ha posto il buon seme in terra: il frutto non potrà mancare.
Solo l’utopia viene rigettata dalla parabola. L’invito al realismo è stupefacente: non è possibile la piena realizzazione del bene in terra, è illusoria ogni attesa che sia sradicato ogni male. Che lezione contro ogni integralismo e fanatismo! Ogni tentativo di realizzare pienamente il regno di Dio in terra porta a tagliar via la vita insieme al male. Il regno è presente non nei progetti utopici, ma, ben più realmente e realisticamente, in quel seme che comincia a fruttificare. Ne scaturisce il sospetto che la chiesa ha sempre avuto per ogni progetto totalitario, da qualunque parte venga, che si presenta come la “nuova era” che finalmente porterà bene al mondo, estirpando il male.
*La prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, è solo uno dei tanti brani che in quello stesso libro annunziano la pazienza di Dio. L’ultimo scritto dell’Antico Testamento si domanda perché ci siano state dieci piaghe d’Egitto e risponde affermando che ciò è stato voluto da Dio per dare tempo agli Egiziani di riflettere e pentirsi per essere perdonati. L’autore si rivolge direttamente a Dio dicendogli: «Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato» (Sap 11, 24) ed ancora: «Hai reso i tuoi figli pieni di una dolce speranza, perché tu concedi dopo i peccati la possibilità di perdono» (Sap 12, 19).
Il fatto che Dio non si scagli con tutta la sua potenza contro il male dipende dalla sua indulgenza, dalla sua mitezza (Sap 12, 18), che lascia esistere colui che compie il male, senza annientarlo, per dargli modo di pentirsi.
Viene in mente la risposta che la seconda lettera di Pietro offre a quei beffardi che si burlano dai cristiani affermando che niente è cambiato nel mondo con la venuta di Cristo, perché il male continua a persistere: «Dio usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2 Pt 3, 9).
* Quando i discepoli si trovano soli con il maestro in casa a domandare sulla parabola, la dimensione cristologica è ancora più esplicitata. Il buon seme è stato seminato dal Figlio dell’uomo, non direttamente dal Padre. Quel Figlio è l’inviato che discende dal Padre per la sua semina. E alla fine del mondo sarà lo stesso Figlio dell’uomo a mandare i suoi angeli, quegli angeli che gli appartengono e sono i suoi servitori, per la mietitura ed il giudizio. L’annunzio del regno e la predicazione della chiesa su Gesù annunciano con parole diverse la stessa realtà, la presenza reale di Cristo e la sua efficacia nel mondo.
Il regno di Dio non è semplicemente annunziato come l’evento che accadrà un domani, ma come la realtà presente nell’opera di Cristo. Il Cristo è parte essenziale dell’annunzio che porta al mondo e non ne è semplicemente il banditore. È questo il motivo della grande fiducia, pur nell’impossibilità presente di estirpare il male. Dio non è semplicemente esistente in un cielo distante dalla terra ed incapace di operare nel mondo, ma è vivente nella carne del Figlio dell’uomo che compie la sua semina che non potrà mancare di una abbondanza sconfinata di frutti. Le due parabole del granello di senapa e del lievito spalancano il cuore alla grande speranza che coglie il valore di ogni piccolo gesto compiuto nella prospettiva del vangelo ed affidato alla sua grazia.

SUSSIDIO PER I BAMBINI a cura di Danila de Simeis


Il Vangelo di oggi è la continuazione di quello di domenica scorsa: ricordate? L’evangelista Matteo ci ha raccontato che Gesù, seduto su una barca vicino alla riva del Lago, parla alla gente con molte parabole.Di fatto, però, la scorsa domenica, di parabola ne abbiamo ascoltata una sola, quella del seminatore.Oggi invece la Parola di Dio ce ne offre addirittura tre, tre diversi esempi che il Rabbi di Nazareth sceglie per spiegare com’è il Regno di Dio.
Permettetemi però, prima di tutto, una domanda: quando sentiamo parlare del Regno di Dio, a cosa pensiamo? Nel Padre Nostro chiediamo “Venga il tuo Regno”; Giovanni Battista e poi lo stesso Gesù hanno annunciato: “Il Regno di Dio è vicino”, ma noi cosa abbiamo in mente quando si parla del Regno?Sono sicura che la maggior parte di noi ha dentro una sua idea, ma è un po’ confusa e non troviamo facilmente le parole per esprimerci.
È normale, sapete? È così per me, per voi, credo sia così anche per i teologi che hanno studiato tante cose su Dio! Allora proviamo semplicemente a riflettere insieme.
Per prima cosa possiamo dire che cosa non è il Regno di Dio: non è il regno di un re con il castello e l’esercito; non è il regno degli antichi egizi, con le piramidi grandiose; non è l’impero degli antichi romani! Dio, l’abbiamo detto tante volte, regna con l’amore, mostra il suo potere con l’amore. Quindi il Regno di Dio è il Regno dell’amore!
Non dobbiamo pensare solo al Paradiso, alla terra nuova e ai cieli nuovi che ci attendono quando questo mondo finirà! Il Regno di Dio è già qui, in mezzo a noi, ogni volta che le persone vivono davvero nell’amore!Quando riusciamo ad amare veramente, con generosità, senza pretendere nulla in cambio, allora il Regno di Dio è in mezzo a noi.Ogni volta che siamo capaci di perdonare, di non vendicarci, di non rispondere al male con il male, lì è presente il Regno di Dio, proprio grazie a noi!
Magari state pensando: ma di un Regno così, non si accorge nessuno…Sì, è vero! È un Regno che non si fa pubblicità, che non mette le insegne luminose, che non vuole essere notato a tutti i costi. Per farci capire com’è il Regno di Dio, il Maestro di Nazareth usa il paragone con il granello di senape e con il lievito nella farina.
Avete mai visto il seme della senape? È un puntino nero, piccolo piccolo, come la testa di uno spillo. Eppure, questo seme minuscolo, una volta seminato, dà vita ad un albero grande, con tanti rami robusti, dove gli uccelli possono fare il nido.Dice Gesù: ecco, il Regno di Dio è qualcosa di piccolo, quasi invisibile, come il granellino di senape, ma racchiude tutta la forza per diventare un albero grande!L’altra parabola possiamo sperimentarla tutti, anche a casa nostra, provando a impastare il pane o la pizza: se mescoliamo acqua, farina e un po’ di sale, non viene fuori granché di buono. Però se aggiungiamo un pochino di lievito, tutto l’impasto si gonfierà, diventerà soffice e buonissimo da mangiare. Il lievito, a vederlo, non sembra niente di speciale ed il suo odore non è gradito proprio a tutti. Una volta mescolato nell’impasto, poi, chi lo riconosce più?
Ma quel po’ di lievito ha il potere di far fermentare l’impasto e dar da mangiare a tante persone!Così è il Regno di Dio: piccolo, semplice, quasi non ci si accorge della sua presenza, ma intanto agisce come il lievito nell’impasto!Gesù racconta queste due parabole perché sa bene quello che pensa la gente che lo ascolta predicare. Quelle folle, quando sentono parlare di un Regno, pensano subito al potere dei Romani, che li opprime e li impoverisce. Perciò, ascoltando Giovanni Battista e Gesù annunciare il Regno di Dio, molti pensavano: “Ecco! Questi Romani si credono fortissimi, invincibili! Ma ora arriverà il Regno di Dio e li distruggerà, li annienterà! E allora vedremo chi è il più forte!”Gesù lo sa bene che tanti pensavano così (e quanti ragionano così ancora oggi!!!) e vuol chiarire le idee a chi le ha un po’ confuse: perciò usa il paragone del granellino di senape e del lievito, per spiegare che il Regno di Dio non è il regno della potenza che opprime, che distrugge, che fa paura!No!
È il Regno della forza esplosiva della vita, quella straordinaria energia che fa crescere il seme e fa lievitare l’impasto!Il Regno di Dio è il regno della forza dell’amore che non spaventa e non schiaccia nessuno, ma fa vivere nella gioia!Qualcuno, già me lo immagino, specialmente tra i più grandi, starà pensando adesso: “Ma se il Regno di Dio è presente ogni volta che ci si ama e che si vive secondo il cuore di Dio, com’è possibile che dopo più di 2000 anni ci sia ancora il male? Se il Regno di Dio è la forza dell’amore, com’è che tanta gente è crudele e compie il male? Come mai Dio, con la sua forza che può tutto, non cancella dal mondo tutti i cattivi, tutti quelli che fanno il male?”
Sono domande che si fanno gli uomini e le donne di ogni tempo, anche coloro che vivevano al tempo di Gesù, e questo il Maestro di Nazareth lo sa bene. Perciò racconta un’altra parabola, quella del grano e della zizzania.
È la storia di un contadino che ha seminato il buon grano nel suo campo, ma il suo nemico va di notte, di nascosto, e semina la zizzania. Cos’è la zizzania? È un’erbaccia, che appena spunta assomiglia allo stelo di frumento, poi cresce robusta e occupa spazio nel campo, ma non serve a nulla: non è buona da mangiare né per le persone né per gli animali, si può solo bruciarla.Quando i servi del contadino si accorgono che nel campo, insieme al grano, sta crescendo anche la zizzania, propongono al loro padrone: “Strappiamola via!”“No – risponde il padrone – altrimenti c’è il pericolo di strappare via anche le piantine buone, per errore! E neppure una piantina di grano deve essere sciupata! Lasciamo crescere il grano e la zizzania fianco a fianco: al momento del raccolto, quando le spighe saranno grandi e forti, e non ci si può confondere, strapperemo tutte le erbacce e le bruceremo.”
Spiega Gesù che il Padre Buono ragiona proprio come il contadino della parabola: lo sa, lo vede, che il Diavolo, il suo nemico, continua a seminare il male e che tante persone agiscono con cattiveria. Dio Padre lo sa, lo vede, che tanta gente vorrebbe strappare via tutta la zizzania, cioè la cattiveria, per distruggerla. Ma Dio Padre ha pazienza e aspetta il momento giusto.Verrà quel tempo, che solo Lui conosce, in cui il buon grano sarà messo al sicuro e la zizzania sarà bruciata. Non sappiamo quando accadrà, ma sappiamo che arriverà anche quel giorno. Forse sarà domani, forse sarà tra moltissimo tempo, questo non possiamo saperlo, ma non ha importanza, perché Dio misura le cose molto diversamente da noi, ragionando non sul tempo, ma sull’eternità!
Questa cosa l’ho capita meglio quando Davide, un mio amico, mi ha spiegato che le farfalle hanno una vita molto molto breve rispetto alla vita degli esseri umani: vivono appena un giorno o due. Allora, proviamo per un momento a pensare di parlare la lingua delle farfalle e dire ad una di loro: “Dio Padre cancellerà il male dal mondo tra due settimane!”
A noi sembrerebbe un’attesa molto breve, ma per la farfalla sarebbe sette volte la lunghezza di tutta la sua vita: un tempo superlunghissimissimo!!!!Così è per noi: quando proviamo a pensare all’eternità, la nostra vita dura come quella di una farfalla e i tempi di Dio ci possono sembrare superextralunghissimi!Ma fidiamoci di Lui, che conosce ogni cosa.Piuttosto, mentre aspettiamo che arrivi il tempo stabilito da Dio, impegniamoci ogni giorno a vivere nell’amore e a perdonare, così da assomigliare sempre più a Gesù. Così renderemo sempre presente tra noi il Regno di Dio.

domenica 13 luglio 2008

TEMPO ORDINARIO: 15a DOMENICA


Tratto dal sito www.omelie.org "La liturgia del giorno" a cura del Centro Editoriale Dehoniano a cura di Gerardo Antonazzo

Letture: Is 55,10-11; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23

Gli obiettivi minimi che un oratore si prefigge sono almeno due: attirare l’attenzione, e farsi capire dagli ascoltatori. Al fine di raggiungere entrambi gli obiettivi, il modo di parlare di ciascuno obbedisce a delle strategie che, a parer suo, possono rendere al meglio tale riuscita. “Egli parò loro di molte cose con parabole”: Gesù privilegia spesso la scelta strategica della “parabola” per rivolgersi ai suoi ascoltatori. Nel vangelo odierno Gesù lo dichiara all’inizio del testo, poi lo conferma con i diversi versetti collocati non a caso al centro della narrazione, con i quali spiega il senso profondo dell’utilizzo del genere letterario della “parabola”.
Alla domanda dei discepoli: “Perché a loro parli in parabole?”, Gesù spiega che la parabola è usata con lo scopo di scuotere e provocare; chi ascolta il racconto non può rimanere comunque impassibile e indifferente come se il contenuto della parabola non lo riguardasse. La reazione dell’uditore è mirata alla sua conversione, alla metànoia, al cambiamento radicale di mentalità e, quindi, dello stile di vita. I riferimento alla chiusura dell’animo, alla non-comprensione, al non-ascolto, alla durezza dell’orecchio, etc, non dicono l’impossibilità di capire la parabola (sarebbe un fallimento in partenza!), ma preannunciano una possibile reazione negativa di chiusura e di rifiuto. E’ una presa d’atto in anticipo di quella che sarà la reazione ultima di tanti che, pur ascoltando e comprendendo le esigenze di quella parola, non saranno di sposti a darle credito. Si ostineranno nel rifiuto e nella durezza del cuore.
Mentre Gesù racconta la parabola, siamo nel vivo della stagione della semina. Gesù parla alle folle dal mare, seduto su una barca. Ha di fronte a sé, in lontananza, lo spettacolo meraviglioso di grandi estensioni di terreno arato e quindi messo nelle condizioni migliori di fertilità. I contadini, a braccia robuste e allargate, con ampi e spaziosi gesti capaci di disegnare forme geometriche ritmiche e precise, affidano alla fecondità del terreno la fruttuosità del seme. E aspettano, ansiosi di veder germogliare il chicco con l’apparire dei primi figli d’erba, segni premonitori di un possibile abbondante raccolto: “Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli”.
Il testo del vangelo di s. Matteo è composito: combina insieme il racconto della parabola, con la sua spiegazione; resta difficile attribuire direttamente a Gesù anche questa seconda parte, dal momento che la parabola non veniva direttamente spiegata. L’attenzione del lettore è calamitata sia dalla bontà assoluta del seme, sia dalle condizioni diverse del terreno che riceve la caduta del seme. Come il terreno per sua natura è fatto per ricevere il seme, così l’uomo attende di accogliere il seme della Parola, la rivelazione del Signore. Il seme viene da Dio, è sempre lo stesso: buono e selezionato nella sua qualità. Il terreno è classificato invece in modi diversi: strada, terreno sassoso, rovi, terreno buono. Al di là della tentazione di una lettura moralistica della parabola, è senz’altro evidente che la stessa spiegazione della parabola che il testo offre, ci orienta a riflettere sulle condizioni del terreno che riceve la graziosità del seme.
Oggi di fronte all’irregolarità delle stagioni climatiche, di fronte ai problemi di inquinamento che hanno alterato le condizioni favorevoli alle stesse produzioni, si ricorre alla scelta di modificare geneticamente i semi. Il vangelo non lascia spazio al minimo dubbio circa la bontà del seme: è necessario, piuttosto, modificare il terreno! E’ indispensabile disporsi al seme della Parola con l’atteggiamento migliore, per poter favorire la fruttuosità della volontà di Dio nella nostra esistenza.
L’accoglienza della Parola, perciò, è il processo più importante e, allo stesso tempo, più difficile nella vita del credente: il Maligno insidia il rapporto tra il terreno e il seme della Parola. Infatti la parabola, con la chiarezza che le è propria, descrive i motivi e modi diversi con cui il Maligno opera in questa sua strategia di far fallire la produzione: chiude la mente alla comprensione della Parola, ci deruba la speranza e ci getta nella sfiducia; getta nella tribolazione o causa la persecuzione che prosciuga la gioia della Parola.E i nostri tanti “sì” diventano i drammatici “no” dell’incostanza o del ripensamento; anche la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola.
I verbi del terreno buono, invece, sono: ascoltare, comprendere, dare frutto, produrre. Cosa rende “buono” il terreno? La bonifica dal Maligno: solo una vita bonificata dalle tentazioni, dalle illusioni, lusinghe e miraggi di chi ci vuole male, può accogliere la semina del buon Dio. Vale molto il modo in cui il credente si dispone all’opera di Dio: essa può risultare perfino infeconda se la disponibilità dell’uomo è inesistente. Il seme di Dio non può operare indipendentemente dalla predisposizione del terreno. Per rendere disponibile la nostra vita alla Parola, dobbiamo misurarci con queste esigenze. Allora potremo veder germogliare anche i deserti delle nostre limitate capacità.

SUSSIDIO PER I BAMBINI a cura di Danila de Simeis

Com’è lungo il Vangelo di questa domenica! Però c’è un motivo, se è così lungo: in una volta sola abbiamo ascoltato sia il Vangelo sia l’omelia! E a fare l’omelia è stato proprio Gesù, che prima racconta la parabola del seminatore e poi la spiega ai suoi discepoli e a tutti noi.

Sappiamo bene che ciascuno può leggere da solo una parabola, una pagina del Vangelo, e riuscire a comprendere quello che significa. Però sappiamo anche che ci sono alcuni episodi o certe frasi pronunciate da Gesù, che suonano un po’ difficili alle nostre orecchie e facciamo parecchia fatica a capirle fino in fondo. Per questo, ogni domenica, dopo aver ascoltato le quattro letture della Parola di Dio, ascoltiamo anche il sacerdote che fa l’omelia.

La Sacra Scrittura, infatti, è come una grossa pagnotta, profumata e fragrante, capace di saziare ogni nostra fame. Solo, non possiamo pensare di farne un solo boccone, altrimenti non riusciremmo né a masticarlo, né a digerirlo.

Già la Chiesa, che è saggia, ci aiuta, perché ogni domenica ci offre solo quattro piccoli brani da ascoltare ed accogliere. In più, ci diventa prezioso ogni aiuto che può venire da chi conosce a fondo la Parola di Dio: il sacerdote a Messa, i nostri catechisti, gli animatori che ci preparano alla celebrazione, o anche i nostri genitori quando ci spiegano le letture che andremo ad ascoltare in chiesa.

Ogni volta è come se questi adulti preparati, prendessero in mano la grande pagnotta della Bibbia e ce la offrissero a piccoli bocconcini della misura giusta, in modo da poterli masticare con calma e assaporare bene.

Ma in questa domenica non sono i sacerdoti, i catechisti o altre persone a spiegarci la parabola del seminatore: è proprio il Maestro e Signore a farlo per noi!Perciò seguiamo con cuore attento il racconto che ci fa l’evangelista Matteo.

È una mattina come tante, Gesù esce di casa e si dirige verso il lago. In breve tempo si raduna intorno a lui tanta gente e per potersi far vedere e sentire da tutti, sale su una barca, si discosta un po’ dalla riva, e comincia a raccontare molte parabole. Per prima, racconta quella del contadino, che esce in campagna a seminare.

Non so se avete mai visto un agricoltore che semina nei campi: oggi, molto spesso, si usano delle macchine apposta, per seminare, che lanciano i semi in aria con un getto alto e preciso, in modo da farli cadere precisamente nei solchi già preparati. Al tempo di Gesù, però, non c’erano queste macchine: il seminatore camminava lentamente tra i solchi del terreno arato, con un sacchetto di semi a tracolla. Con ritmo regolare, il seminatore immergeva la mano nel sacchetto e poi lanciava i semi accanto a sé, perché cadessero nella terra scura.

Gesù e la gente del suo tempo hanno in mente questa scena, mentre il Rabbi di Nazareth racconta di quello che accade ai semi, dopo che il seminatore li ha seminati: una parte di essi cadde lungo la strada e gli uccelli, veloci, andarono subito a beccarli. Un’altre parte cadde invece tra i sassi, dove la terra era poco profonda: germogliò in fretta, ma le radici erano troppo deboli e corte, per cui quando il sole si fece alto e caldo, quella pianticella si seccò.

Un’altra parte ancora cadde in mezzo ai cespugli spinosi e selvatici, che crescendo prepotenti soffocarono la piccola piantina che cercava di spuntare. Infine un’altra parte cadde nel terreno buono, preparato dal contadino, crebbe e divenne spiga piena e al tempo del raccolto fu festa grande.

Quando i discepoli si ritrovano da soli con il loro Rabbi, dopo aver ascoltato questa parabola, gli domandano: ma perché racconti queste storie? Che cosa vuoi dire con queste parabole?

Con pazienza, Gesù spiega loro il motivo: siccome il mistero dl Regno di Dio non è facile da comprendere, le parabole diventano un aiuto perché usano paragoni, esempi, similitudini vicine alla vita delle persone e alla loro esperienza. Un lungo discorso pieno di parole difficili sarebbe noioso e non lo ricorderemmo, mentre il racconto di una parabola ci resta impresso nella memoria.

A questo punto, il Maestro e Signore, si mette a spiegare ai suoi discepoli, e quindi anche a noi, qual è il significato della parabola del seminatore. Il seme è la Parola di Dio: ogni volta che uno ascolta in maniera distratta, senza capire nulla, è come il seme caduto sulla strada e mangiato dagli uccelli, di cui non resta traccia.

Il seme caduto tra i sassi è la Parola di Dio ascoltata da chi è incostante: si entusiasma facilmente, ma quando diventa difficile vivere secondo il Vangelo, allora si scoraggia e lascia perdere tutto, facendo seccare quella piccola pianticella che non aveva radici abbastanza profonde.

Il seme caduto tra i cespugli selvatici è la Parola di Dio ascoltata la domenica da chi la comprende e ne gioisce, ma poi se ne dimentica in fretta perché comincia a pensare alle tante cose da fare, alle tante cose che vuole possedere, agli impegni della giornata… poche ore dopo la Messa, già non sa più qual era il Vangelo che ha ascoltato! Tutta la bellezza della Buona Notizia è soffocato da altri pensieri e altre preoccupazioni.

Infine, chi ascolta la Parola di Dio con attenzione e amore, la ricorda, la conserva nel cuore e la vive giorno dopo giorno, è simile al seme caduto sulla terra buona e fertile, che produce un buon raccolto.

Sapete? La spiegazione che dà Gesù ai discepoli mi ha fatto tornare in mente quello che è accaduto quando avevo 11 anni e andavo al Catechismo. Un pomeriggio, sr Aurelia, la nostra catechista, stava leggendo con tutti noi ragazzi proprio la parabola del seminatore e la stava commentando. Sr Aurelia ha cominciato a dire che alcuni di noi sono come la strada, dove gli uccellini portano via subito qualsiasi parola del Vangelo; altri sono come il terreno sassoso o pieno di cespugli spinosi, e solo pochi sono come il terreno buono che fa crescere bene il seme.

“Voi – ha detto sr Aurelia – quale terreno pensate di essere?”Ci siamo sentiti tutti un po’ preoccupati e abbiamo cominciato a pensare: “Quale terreno sarò io? Sarò come la strada? Sarò come la terra piena di sassi?”Nessuno si sentiva così presuntuoso da dire: “Sono il terreno fertile e buono!”Stavamo in silenzio, gli occhi bassi, ognuno pensando: “Speriamo che non chieda a me!”

Manuela, una delle mie amiche, ha alzato la mano e ha detto con la sua voce tranquilla e un po’ rauca: “Secondo me, ti sbagli sr Aurelia! Noi non siamo uno di questi terreni di cui parla Gesù, ma siamo tutti e quattro questi terreni insieme!... Voglio dire: non è che uno è solo come la strada, oppure solo come i cespugli spinosi! Ognuno di noi è come un grande terreno fertile, dove crescono un po’ di cespugli spinosi e si accumulano un po’ di sassi se non lo curiamo bene. Un grande spazio di terra buona, dove passano anche un po’ di strade, che vanno tenute d’occhio, se no gli uccelli vanno a beccare!... ci sono giorni in cui ascoltiamo la Parola di Dio e la ricordiamo bene, la conserviamo nel cuore e riusciamo a viverla lungo la settimana. Ci sono volte in cui la Parola di Dio che ascoltiamo la domenica, ci vola via dalla testa prima ancora che la Messa finisca! Ma non siamo solo sassi o cespugli spinosi, credo che Dio ci ha fatti tutti come terreno buono!”

Non vi dico come piacque a tutti noi del gruppo questo discorso di Manuela!Perché ci siamo subito riconosciuti nella sua descrizione: siamo fatti proprio così, come un grande terreno ricco e buono, che per dare un buon raccolto deve essere curato, altrimenti si riempie di sassi, di cespugli spinosi e selvatici, e gli uccelli vengono a mangiare tutti i semi della Parola che ogni domenica riceviamo.Non ho mai dimenticato le parole di Manuela e credo che oggi possano trasformarsi in un impegno per noi: ogni domenica, quando ci prepariamo per venire a Messa, proviamo a pensare com’è il terreno del nostro cuore. Di certo, il Padre Nostro ci ha creati come un terreno fertile e buono, e questo è un ottimo punto di partenza! Ma anche il terreno migliore, ha bisogno di essere curato, zappato, liberato dalle erbacce e dai sassi!

Prima di venire a Messa, proviamo a chiederci ogni volta: sono pronto per ascoltare la Parola di Dio? Ho voglia di accoglierla con amore? ci sono pensieri, preoccupazioni, interessi, che sono in cima alla mia attenzione e che potrebbero soffocare il seme del Vangelo che sto per ascoltare in chiesa? Se ci prepariamo così, saremo come il contadino che ara la terra, la innaffia, la cura con premura, e di certo non mancherà il frutto abbondante e prezioso al tempo del raccolto!