domenica 6 luglio 2008

TEMPO ORDINARIO: 14a DOMENICA


Tratto dal sito www.omelie.org "La liturgia del giorno" a cura del Centro Editoriale Dehoniano

«Utopia» della pace

Zc 9,9‑10 Una visione di pace.
Rm 8,9.11‑13 «Lo Spirito di Dio abita in voi».
Mt 11,25‑30 Il Regno è rivelato ai piccoli e ai semplici.

Tutti gli uomini attendono un regno di pace, tutti noi desideriamo un’èra dove non ci sarà più la guerra e in cui le armi non esisteranno più. Sembra che l’umanità intera cerchi di lavorare per un mondo senza conflitti, anche se invece non finiscono mai le lotte e le rivolte. Il mondo che tutti desideriamo sembra confinato nei sogni delle favole, nelle utopie dei poeti e dei sognatori. L’uomo, sentiamo dire, è sempre stato in guerra da quando è apparso sulla faccia della terra e i conflitti non termineranno perché l’uomo è fondamentalmente peccatore.
Eppure il profeta Zaccaria (prima lettura) invita ad esultare all’annuncio di un re di pace che farà sparire i carri da guerra... e spezzerà gli archi dei soldati (Zc 9,10). Anche Dio sembra far parte del numero dei poeti e dei sognatori che nonostante tutto credono che sia possibile un’èra di pace.
Noi da che parte siamo? Forse riteniamo impossibile un’èra di pace perché anche noi siamo in guerra? Da chi attendiamo l’avvento di questo regno?

1. LA PACE DI DIO
La parola di Dio è ben esplicita nell’indicare il realizzatore della pace: «Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino sopra un puledro figlio d’asina» (Zc 9,9).
Chi sconfigge la guerra e porterà la pace è un re che non ha potenza e gloria. E’ un principe di gente povera e umile: «Cavalcherà un asino», come facevano i capi di un popolo di pastori, i condottieri cioè di gente umile senza proprietà e senza casa.
Il primo segno dell’avvento della pace è la gioia e l’esultanza della povera gente. Caratteristiche della pace di Dio sono le dimensioni del Regno da instaurare: «Il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra» (Zc 9,10). Dal regno di pace non deve essere escluso nessuno: «Io do la pace a tutti lontani e vicini» (Is 57,12).
Finché qualcuno sarà escluso non ci sarà pace sulla terra, finché dentro il nostro cuore, o dentro la nostra famiglia oppure dentro la nostra chiesa non c’è spazio per qualcuno, non sarà possibile la pace. Qualunque esclusione provoca la guerra.
La pace di Dio non sarà fatta dal potere delle grandi nazioni, non sarà il risultato dei mezzi umani sulle volontà degli uomini tutti. Ogni potere di un uomo su un altro uomo provoca la guerra.
La pace di Dio non ha bisogno di essere protetta dalle armi, ma obbligherà gli uomini «a trasformare le loro spade in aratri e le loro lance in falci» (Is 2,4); «e i calzari dei soldati invasori e le loro vesti insanguinate saranno date al fuoco» (Is 9,4); «verrà il momento in cui sterminerò i vostri cavalli e spezzerò i vostri carri da guerra» (Mi 5,9). Ogni volta che si costruiscono armi, pur anche con il desiderio di pace, si scatena una guerra.
La pace di Dio è costruita sulla fiducia di un uomo verso un altro uomo, di un popolo verso un altro popolo, di una chiesa verso un’altra chiesa, nonostante tutto. La pace di Dio è fondata sulla fiducia nella vita, sulla fiducia nell’amore, nonostante tutto, come unica forza che può trasformare l’umanità. Tutti forse siamo stati «traditi» da un fratello, o dalla vita, o dall’amore o dalla chiesa o da un popolo, ma è necessario fidarci nonostante i tradimenti, come Dio è rimasto a noi fedele nonostante i nostri rifiuti e i nostri tradimenti.
La pace di Dio è costruita da un germoglio che nascerà nella famiglia di Iesse: «Egli renderà giustizia ai poveri e difenderà i diritti degli oppressi» (Is 11,4).
Mentre ogni volta che i ricchi, i potenti, e i sapienti saranno esaltati, si dichiareranno guerra tra loro, e trascineranno nella guerra il popolo intero.
La pace di Dio è costruita sul disarmo totale e sull’annientamento di ogni oggetto di guerra: «Spezzerò ogni arco e ogni spada ed eliminerò così la guerra da questa terra» (Os 2,20). «Farà scomparire da Israele i carri da guerra e da Gerusalemme i cavalli» (Zc 9, 10).
La nostra ricerca di pace, che provoca invece inesorabilmente la guerra, è legata ad equilibri di potenze, di forza e di armi. La ricerca di equilibrio in ogni ambiente è infatti la causa di tante guerre: in casa come sul lavoro, nella politica come nella chiesa, nel profondo di ognuno di noi come nei rapporti tra persone vicine.
Chi proclama la pace del Signore sarà chiamato Figlio di Dio: «Beati i diffusori di pace, perché Dio li accoglierà come suoi figli» (Mt 5,9).
Proclamare la pace di Dio significa che non è la nostra pace ma quella di un altro e quindi non la si impone in alternativa. I diffusori di pace non fanno paura a nessuno, perché non hanno nulla da difendere, neppure la pace che essi annunciano. Costoro sono capaci di riconciliare perché non portano qualcosa di proprio, ma di qualcun Altro. Saranno amici e compagni di tutti, perché vorranno imparare da tutti la pace che il Signore ha affidato ad ognuno.

2. Ti RINGRAZIO, PADRE ...
Questo linguaggio è spesso incomprensibile, quasi assurdo, anzi scandalizza gli uomini «intelligenti», religiosi o no, perché il loro modo di fare la pace è la ragione.
Secondo l’uomo non ci si può esaltare, non ci si deve abbandonare più di tanto alla fiducia nell’uomo, alle cose e alla vita. E’ necessario equilibrio, si dice, e l’equilibrio non è altro che un modo per giustificare il proprio disimpegno.
Ed è invece proprio la «ragionevolezza», sono proprio gli sforzi dei nostri sottili ragionamenti che provocano le guerre. Infatti è sulla nostra ragione che avvengono gli scontri e i rifiuti, è sulle certezze che si fondano le durezze e le motivazioni per opporsi a un altro, che è appunto nostro avversario in nome della sua ragione. Finché una persona rimane incerta, finché ammette nella propria esperienza anche un minimo dubbio, non sarà mai decisa a fronteggiare con la violenza l’esperienza di un altro. «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
I sapienti sono coloro che conoscono tutta la verità religiosa, quelli che conoscono ogni virgola della Scrittura, quelli che sanno citare a memoria tutte le leggi del Signore: ebbene, costoro non sapranno mai riconoscere la presenza di Dio, perché accecati dalla luce della propria intelligenza.
Quando in nome di Dio o della sua parola e in nome della sua chiesa si giunge a condannare il fratello che fatica e cammina con noi, dobbiamo avere il coraggio di ammettere il nostro tradimento. Quando per la scienza teologica e per le formule dottrinali imperfette, anche se vere, si giunge a scomunicare un altro, si deve confessare il peccato di essere causa dello scatenamento di guerre. Soprattutto quando diamo l’impressione di aver trovato in fallo un fratello e di gioirne, questo è, forse, il culmine della nostra cattiveria.
In queste occasioni si assiste allo scandalo dei piccoli; per chi l’ha provocato, il Signore Gesù aveva consigliato piuttosto la morte: «Sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt 18,6).
Quando la nostra ricerca di Dio entra nelle affermazioni dottrinali dei nostri ragionamenti e questo ci porta a voler aver ragione, significa che abbiamo sbagliato strada perché in nome di Dio vogliamo vincere su un nostro fratello.
Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo letto, è inserito in una serie di racconti che descrivono le incomprensioni subite da Gesù.
Giovanni il battezzatore manda una delegazione per assicurarsi della verità della sua missione (Mt 11,2).
Le città della Galilea che hanno visto i miracoli e sentito l’annuncio del Regno rimangono incredule, tanto che Gesù deve pronunciare minacce severe (Mt 11,20).
E si preannunciano già le prime discussioni con gli scribi e i farisei riguardo al sabato e alle varie osservanze della legge.
Finalmente Gesù incontra qualcuno a cui può comunicare la gioia di una proposta, il dono gratuito dell’annuncio che ha ricevuto dal Padre: i piccoli e gli ignoranti, che non sanno ragionare bene secondo la logica umana, ma che sanno ben accogliere secondo l’amore di Dio: «Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,28‑30).
L’invito è rivolto agli oppressi dalla legge, agli affaticati per le imposizioni, per gli obblighi e per i ricatti fatti in nome di Dio. Gesù annuncia a tutti costoro la libertà del suo mondo d’amore. Li invita a lasciare il peso di una dottrina insopportabile e di una morale impossibile, a ritrovare in Dio il liberatore da ogni oppressione, a non vivere più nella paura ma nella gioia di un incontro sempre rinnovato.

O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai miti l’eredità del tuo regno, rendici poveri, miti ed esultanti, a imitazione del Cristo tuo figlio, per portare con lui il giogo soave della croce e annunziare agli uomini la gioia che viene da te.

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