venerdì 4 luglio 2008

INGRID BETANCOURT FINALMENTE LIBERA


"Avvenire" 4 luglio 2008 articolo di Lima Michela Coricelli

LA FINE DELL’INCUBO

«Ringrazio Dio per questo bellissimo momento».

La prima notte da donna libera a casa della mamma. Da Bogotà l’ex candidata presidenziale vola a Parigi Ingrid riabbraccia i figli: è un miracolo «Ho resistito pensando a Lorenzo e Melanie. Ora bisogna avviare la riconciliazione con le Farc»
«Sono cresciuti, sono belli. Melanie or­mai è una donna. Lorenzo è così al­to ». Li ha abbracciati e riabbraccia­ti, non riusciva a staccarsi da loro. Ha aspettato troppo a lungo: sei anni di prigionia. Ingrid Be­tancourt è finalmente accanto ai suoi figli. Pensare a loro l’ha spinta ad andare avanti du­rante l’infinito e crudele sequestro delle Farc: «Quante volte ho desiderato uscire dalla giungla solo per vivere questo momento». «È un mira­colo, un miracolo», continuava a ripetere l’ex o­staggio, a 24 ore dalla sua liberazione. «Sono rimasta viva per riabbracciare i miei figli. Ringrazio Dio per questo bellissimo momen­to ». Ha parlato come ma­dre, ma anche come poli­tica. «Dobbiamo pensare subito a come agire. E la prima cosa da fare è lan­ciare un appello a Chavez e Correa (presidenti di Ve­nezuela ed Ecuador, ndr) perché si ristabilisca la fi­ducia con il presidente U­ribe ». Dopo mesi di aspre tensio­ni regionali, in un clima avvelenato proprio dal­le Farc, i presidenti di Colombia, Ecuador e Ve­nezuela devono tornare al dialogo. L’unità in­ternazionale – in particolare sudamericana – è fondamentale per sconfiggere la guerriglia. La sua prima notte da donna libera, a casa del­la madre, Yolanda Pulecio, è trascorsa insonne. Non ha chiuso occhio. «Siamo arrivati a casa mol­to tardi la sera – ha raccontato il marito, Juan Carlos Lecompte – e siamo stati assorbiti da u­na lunga conversazione. Ci ha raccontato i tristi particolari della sua prigionia». Una ferita profonda che, secondo gli esperti, gli ex sequestrati non superano immediatamente. Ma Lecompte è ottimista: «Sta molto bene, è ge­nerosa di spirito e molto lucida. La prigionia ha lasciato delle conseguenze sulla sua salute, ma non è grave. La sua anima è forte». Lo ha dimostrato fin dal primo minuto in cui è scesa dalla scaletta dell’aereo militare che l’ha portata a Bogotà. «Accompagnatemi in primo luogo nel dare grazie a Dio e alla Vergine», ha detto la Betancourt. Aveva ancora la divisa mili­tare, gli stivaloni di gomma nera, la treccia rac­colta di chi non ha potuto tagliarsi i capelli per anni. Stretto in mano, il rosario che pregava quo­tidianamente. Poi sono arrivati i ringraziamenti per tutti: per l’esercito co­lombiano, per chi ha pre­gato per lei e gli altri rapi­ti, per la famiglia, il presi­dente Álvaro Uribe, il co­raggioso ministro della Difesa Juan Manuel San­tos, la stampa. Le Farc – ha insistito – devono co­minciare «il cammino della riconciliazione, del­la pace». Quanto all’operazione militare – ha detto com­mossa – «è stata perfetta». «Non c’è stato un so­lo sparo, non hanno ucciso nessuno». Anche le organizzazioni non governative dei diritti uma­ni, spesso critiche con l’esecutivo colombiano, hanno riconosciuto che l’operazione è stata pu­­lita, impeccabile. Sempre accanto agli altri undici ex ostaggi co­lombiani (i tre contractor statunitensi erano già volati verso gli Usa), la Betancourt è stata rice­vuta al palazzo presidenziale da Uribe. E qui il presidente, che con la liberazione ha guadagna­to uno straordinario successo nazionale e inter­nazionale, ha lanciato un nuovo messaggio ai guerriglieri: «Invitiamo le Farc a fare la pace. Ab­biamo mantenuto sempre la disponibilità: ini­zino liberando i sequestrati che restano ancora nelle loro mani», ha detto il capo dello Stato, e­logiando l’esercito. È stata «un’epopea militare e un omaggio ai di­ritti umani», ha sottolineato. Come hanno spie­gato i vertici militari colombiani, è stata una ve­ra trappola per le Farc: un bluff organizzato da mesi. Il generale Jaime Padilla de Leon ha rac­contato che l’operazione «Scacco» prevedeva co­munque un «piano B», in caso di fallimento. For­tunatamente non è stato necessario. «Un’operazione brillante», ha detto anche Wa­shington. Gli Stati Uniti, ha dichiarato ieri la por­tavoce della Casa Bianca, Dana Perino, sapeva­no del blitz colombiano, ma Bogotà non aveva bisogno di nessun permesso americano. «Ne e­ravamo al corrente, ma questa è stata un’opera­zione elaborata e realizzata dalla Colombia, con il nostro pieno appoggio. Non hanno avuto bi­sogno della nostra luce verde». Dopo Bogotà, Parigi. La Betancourt non dimen­tica tutto quello che ha fatto la sua seconda pa­tria: gli sforzi diplomatici, gli appelli di Nicolas Sarkozy in Tv, l’attenzione di Jacques Chirac al­la sua famiglia (spesso criticata), l’interesse del­la stampa. Libera, «più magra» ma forte – come ha detto il marito – è partita ieri sera per la Fran­cia. «Intendo ringraziare il presidente Sarkozy e tutti i francesi che da sempre sono stati il nostro sostegno, la nostra luce, il nostro faro».

Ingrid Betancourt indossa al polso il rosario di corda e bottoni con il quale ha pregato durante la lunga prigionia

1 commento:

Griet ha detto...

Sono veramente contenta della sua liberazione. Ho seguito le tappe della sua prigionia almeno da 3 anni, quando con la mmia associazione teatrale abbiamo fatto uno spettacolo intitolato "la rabbia nel cuore".
Mi ha colpito molto il fatto che abbia rincontrato Cristo nella giungla. Proprio ieri, nell'intervista mandata in onda al concerto di San Francesco parlava proprio di questo. E quell'immagine commovente del rosario fatto di corda, che l'ha sostenuta in tutti questi anni.

nel nostro spettacolo, in un dialogo immaginario con la figlia ingrid diceva:
"c'è un telefono molto speciale... quello della preghiera. ogni sabato, a mezzogiorno."

come effettivamente Ingrid faceva con la madre. ogni giorno a mezzogiorno recitavano insieme il rosario. Dio unisce ciò che l'uomo separa.